Siamo a colloquio con Giuseppe Barbera, uno dei protagonisti della ricerca agronomica in Italia, massimo esperto di colture arboree e di cultura del paesaggio, nonché saggista raffinato, curioso, eclettico (ricordiamo qui gli splendidi Conca d'oro per Sellerio, Abbracciare gli alberi e Il giardino del Mediterraneo per l'editore Il Saggiatore). Mi sembra inevitabile iniziare con una domanda sui cambiamenti climatici. Come è possibile trovarsi impreparati di fronte a questi eventi, nonostante gli allarmi ripetuti della comunità scientifica?
È di queste settimane la notizia che al Parlamento europeo è stata rigettata la richiesta di sospendere, in tempi ragionevoli, l'uso delle fonti fossili, del gas e del nucleare. Ecco, questo ci fa capire che andiamo di corsa verso la sesta estinzione.
La quinta estinzione, come sappiamo, è legata all'asteroide il cui impatto con il pianeta terra ha fatto scomparire i dinosauri e ha totalmente alterato gli equilibri biologici del pianeta. La sesta estinzione, invece, di cui parlano da tempo scienziati importanti, è stata rievocata da qualche anno, da quando si parla di Antropocene. È una nuova era geologica che stiamo attraversando, in cui lo storico, antichissimo rapporto tra uomo e natura, nato 12000 anni fa insieme all'agricoltura, è diventato un rapporto di rottura: uomo e natura sono ormai in guerra tra di loro. È una guerra che non possiamo che perdere, ovviamente: nessuna tecnologia ci può aiutare quando la natura o il creato (ognuno la chiami come vuole) si rivolta contro di noi.
Sappiamo perfettamente che da quando è iniziata l'era industriale, quindi 200-250 anni fa, i gas serra, anidride carbonica, metano e altri, sono aumentati nell'atmosfera come non accadeva da centinaia di migliaia, milioni di anni, da quando cioè l'aria è diventata respirabile.
È l'effetto serra, appunto, quello che avviene in piccolo sotto la copertura di plastica all'interno di una serra o in una macchina sotto il sole d'estate: il calore diventa insostenibile.
Cosa fare subito? Per fortuna, diciamo che le norme internazionali, i protocolli tra i diversi paesi ci sono sempre, e ci dicono di abbattere drasticamente le emissioni di gas ad effetto serra, riducendo, ma non rinunciando ovviamente, all'uso di carbone, petrolio, gas.
Sono cose che sono state stabilite già anni fa. Poi è arrivata la pandemia, e ce lo siamo detti con ancora maggior forza: il covid è un altro risultato di questi squilibri. Ci siamo ripetuti che bisognava cambiare tutto, cambiare stile di vita, politiche, comportamenti individuali, perché altrimenti ciò che è successo succederà altre volte, e perché diversamente il cambiamento climatico, già difficilmente arrestabile oggi, diventerà irreversibile. Avevamo iniziato a farlo, il PNRR va in questa direzione, e poi è arrivata la guerra. La guerra è guerra, abolirla è il sogno di tante generazioni, ma questa guerra in particolare, assurda e ingiustificabile, non solo sta distogliendo l'attenzione dalla lotta ai cambiamenti climatici, ma anzi sta riportando al centro i combustibili fossili. La crisi energetica sta riportando indietro le lancette, e siamo ancora a bruciare l'energia fossile e a liberare quella CO2 che gli alberi avevano conservato dal Quaternario, quando avevano reso possibile la vita sulla terra per organismi più evoluti. Ci prepariamo, appunto, alla sesta estinzione.
Quali le risposte possibili di fronte a queste emergenze che si rincorrono una dietro l'altra, che si aggravano a vicenda? Come può un mondo così diseguale nella distribuzione della ricchezza trovare delle soluzioni?
L'orizzonte non può essere quello della decrescita, non facciamo questa confusione: decrescita, come crescita, si riferisce ad una prospettiva quantitativa. Io preferisco termini qualitativi, progresso, sviluppo, perché bisogna utilizzare meglio le risorse, progredendo meglio: naturalmente bisogna scegliere stili di vita più sobri, questo il termine più adeguato. L'equilibrio si è rotto negli anni Cinquanta/Sessanta con la "grande accelerazione ", il cosiddetto boom economico basato sul Pil, sui consumi. Non è questo il modo giusto: possiamo soddisfare i nostri bisogni ma anche le nostre aspirazioni con più sobrietà e soprattutto più equità globale. A questo proposito ritorno sul tema dell'emergenza siccità di questa estate. Gli scenari proposti dai gruppi di lavoro in seno alle Nazioni Unite, ci parlano, per il Mediterraneo, di temperature in crescita del 10% e di precipitazioni in diminuzione addirittura del 20% rispetto alle medie degli ultimi decenni, e lo stiamo vedendo già oggi. Mi piace citare questa vignetta che circola nella rete: stiamo vivendo l'estate più fresca dei prossimi 50 anni… Andremo quindi verso scenari peggiori. Ricordiamo allora che, ad esempio, mangiando solo un po' meno carne, potremmo utilizzare le risorse idriche risparmiate, verso coltivazioni meno energivore. Naturalmente nei nostri paesi ricchi e colti, questi discorsi cominciano ad essere diffusi e ascoltati, ma nei paesi poveri la prospettiva di crescita è ancora quella dell'hamburger al fast food, quei paesi poveri che, tra l'altro, non hanno alcuna responsabilità nell'incremento dei gas serra, e a cui oggi paradossalmente chiediamo di cambiare modello di sviluppo per salvare il pianeta che noi abbiamo distrutto. E con quale autorità morale possiamo chiedere questi sacrifici se ancora portiamo avanti politiche apertamente neocoloniali?
Parliamo un po' della Sicilia. Il vero problema climatico e ambientale è legato all'estate, che sta diventando troppo calda anche in quota. Al di là dei picchi di calore, è la persistenza, per settimane, di temperature molto sopra la media a caratterizzare le estati dalla metà degli anni Ottanta in poi, con sempre maggiore intensità. I processi sono ormai innescati. Quali frecce abbiamo ancora al nostro arco?
La situazione in Sicilia, per quanto riguarda la siccità, è migliore che altrove: negli ultimi anni, le precipitazioni hanno consentito un adeguato riempimento degli invasi ma purtroppo non ne abbiamo approfittato, poiché questi sono mal gestiti e non ci sono reti di distribuzione efficienti, sistemi di irrigazione congrui. Abbiamo continuato a sprecare. Come è possibile che non ci sia acqua nei campi? Assurdo.
Naturalmente si deve dare spazio a sistemi non legati ai modelli fossili. Ricordo uno studio americano, dove si faceva il rapporto tra l'energia fossile impiegata in agricoltura e l'energia prodotta sotto forma di produzioni agricole: ebbene, si arrivava alla conclusione che noi "mangiamo petrolio", poiché l'attuale sistema è totalmente energivoro. Che questo sistema sia da superare, in Europa ormai lo abbiamo capito e vengono proposte politiche nuove, il Green new deal, l'agro-ecologia soprattutto, la circolarità: riutilizzare i residui, valorizzare le risorse che si impiegano, dalla campagna sino al consumo alimentare. Dentro l'agro-ecologia c'è anche l'agricoltura di precisione, la precision farming o agricoltura 4.0, legata all'uso delle tecnologie informatiche, i sensori, i droni, che ci consentono di intervenire puntualmente, solo dove e quando serve, con l'acqua, con la lotta ai parassiti. Questo è già il presente, ma non basta a risolvere il problema. Il problema si risolve solo con una visione sistemica che guardi quindi alla complessità, ed è la stessa visione che io in questi anni ho seguito per lo studio del paesaggio, perché il paesaggio non è una questione di bellezza, non è il panorama. Il paesaggio è la complessità, è affrontare i conflitti che ci sono nel rapporto tra uomo e natura, guardando non soltanto all'aspetto estetico (che comunque è anche cultura e attraverso il turismo lavoro ed economia) ma guardando agli aspetti economici, al fatto che l'agricoltore deve vivere del suo lavoro, agli aspetti appunto ecologici, al mantenimento degli equilibri, agli aspetti etici, fondamentali, e guardando anche all'energia. Oggi più che mai abbiamo bisogno di energie rinnovabili che, per definizione, sono diffuse su grandi superfici e hanno un grande impatto sul paesaggio e sull'agricoltura. Certamente la soluzione non sono gli impianti fotovoltaici di 100 ettari, di cui purtroppo si parla, che possono essere una facile ma pericolosa attrattiva per i produttori siciliani, stretti tra i mille problemi dell'agricoltura isolana e che sono facilmente tentati di abbandonare e affittare tutto alle imprese del fotovoltaico. È una prospettiva da evitare. E in tutto questo, ancora la maledetta guerra, che impone dei tempi immediati di intervento, quando invece la transizione ecologica ha bisogno comunque di anni per realizzarsi, soprattutto se si è tardato a sanare il conflitto tra agricoltura ed energia.
Parliamo infine delle aree montane siciliane. Ci sono buone notizie, come ad esempio i fenomeni di rinaturalizzazione dei boschi artificiali, dove roverelle, lecci, ed altre specie autoctone stanno crescendo spontaneamente sotto le conifere e gli eucalipti. Ci sono però anche fenomeni di sofferenza delle faggete, per le onde di calore di cui dicevamo. Che prospettive ci sono nelle gestione della montagna in Sicilia?
La questione è sempre la stessa purtroppo: in Sicilia non ci sono piani di gestione della montagna e dei boschi. Bisogna partire dalla conoscenza del bosco, delle specie, e definire le regole per la sua gestione (quello che si è fatto a Palermo sotto la spinta dell'Università, dopo l'incendio di Monte Pellegrino): bisogna definire quando e se diradare, cosa e quando piantare, come fare prevenzione antincendio e, dopo l'incendio, come intervenire. Tutte queste sono regole che si danno nei piani di gestione. Questi piani li fanno i selvicoltori, li fa la scienza, i laureati in Scienze forestali e ambientali. Io ho fatto per 10 anni il presidente di Corso di laurea in Scienze forestali e ambientali e seguo quindi da 25 anni la storia di questo corso. Si sono laureati circa 700 ragazze e ragazzi, e quanti sono stati assunti dalla Regione Sicilia in questi anni? Nessuno. È come voler sconfiggere la pandemia senza virologi…
Senza l'impegno di queste risorse, soprattutto umane, non ci sarà spazio per superare alcuna delle mille crisi ambientali siciliane e globali.
Luca Alerci
Agosto 2022