lunedì 8 luglio 2019

Christian Raimo. di luca alerci

Christian Raimo è un letterato la cui attività è davvero ampia, di produzione, di promozione culturale, di impegno civile e politico. Lo sguardo della sua letteratura è proiettato sicuramente sull'oggi, alla ricerca di ciò che accade.


Il presente è invaso da un discorso politico molto superficiale e polarizzato. È dunque molto interessante raccontare il contesto sociale attraverso delle lenti diverse, che possano definire le complessità del mondo contemporaneo, dalla fine del lavoro come lo abbiamo immaginato nel Novecento, al cambiamento climatico, alla questione dei diritti civili: c'è un mondo che sta cambiando molto in fretta e invece la retorica del discorso pubblico è spesso puerile e noiosa. Chi prova a scrivere, a fare un lavoro diverso, che sia il giornalista o lo scrittore, persino il politico, ha il compito di aggiungere complessità.


La letteratura deve surrogare l'indagine giornalistica, spesso così sfilacciata e legata a una dimensione da gossip?


La letteratura ha un'ambizione sempre universale, da Omero a Shakespeare, da Tolstoj a Beckett: vuole descrivere una mappa che è sempre più grande del territorio investigato. È anche vero che, in tempi di crisi, il discorso letterario spesso arriva ad avere un ruolo di supplenza rispetto alla decadenza del discorso politico. Se però la politica deve cercare di andare verso il giusto, la letteratura deve andare verso il vero: in momenti in cui la politica è molto degradata, la letteratura mentre cerca di raccontare il vero può, del resto, interrogarsi anche su che cosa è il giusto. Ciò è un male per la letteratura, che chiaramente è uno spazio di libertà assoluta in cui si da voce alle ombre: i capolavori letterari ci raccontano la vita interiore, cosa hanno in mente assassini, pedofili, traditori, stragisti. La politica invece deve rimappare e descrivere un contesto in cui si cerca il bene comune, circoscrivendo le pulsioni peggiori. La letteratura non deve cercare il bene comune ma la verità della condizione umana: gli scrittori non sono quasi mai dei buoni politici e i politici non sono quasi mai dei buoni scrittori.


A questo proposito, quest'anno ricorre il trentennale della morte di Sciascia, che aveva cercato di mettere insieme, con tutte le contraddizioni di cui si diceva, la ricerca della verità con la possibilità di rintracciare una visione di bene comune.


Ho avuto la fortuna di lavorare su Sciascia quest'anno a Torino, per un testo drammaturgico in cui si cerca di tracciare una parabola del suo percorso letterario e civile. Sciascia è uno dei più grandi scrittori del Novecento, nel senso che non se ne può parlare se non prendendolo a modello di intelligenza e di analisi della storia, della politica e della società, ma soprattutto come modello letterario. Come si diceva prima, il compito di un intellettuale è aggiungere complessità, e Sciascia questo lo fa in modo esemplare. Le pagine di Sciascia sulla mafia, ogni volta, riescono a rovesciare il nostro punto di vista, ad approfondirlo, a renderlo multi direzionale: tutte le pagine di Sciascia riescono in questo, quelle di fiction e quelle di non fiction. Ci manca moltissimo, ci mancano quegli scrittori come Alessandro Leogrande come Luca Rastello, scrittori civili nel senso che per loro la civitas è l'universo.


La letteratura italiana mantiene le promesse che questi ultimi testimoni ci hanno lasciato?


Io penso che gli scrittori italiani, in un modo o nell'altro, come era prevedibile, stiano diventando sempre più scrittori del mondo: sempre più ci sono scritture di seconda e terza generazione, sempre più ci sono scrittori che vivono all'estero. Sono usciti libri molto belli, Città irreale di Cristina Marconi, La straniera di Claudia Durastanti, Il pieno di felicità di Cecilia Ghidotti, e poi ci sono scrittori italiani che scrivono direttamente in altre lingue. Per fortuna, dunque, la letteratura italiana diventa sempre più porosa alle voci del dialetto, come a quelle di altre lingue. D'altra parte, una delle caratteristiche fondamentali di questi ultimi anni credo sia stato il desiderio di impegnarsi in tutte le forme di attivismo culturale, per essere utili alla voce degli altri. A partire da Nicola Lagioia, uno degli scrittori più importanti in Italia, il cui impegno negli ultimi tempi è stato spesso quello di organizzatore.


Christian Raimo è attivo nel mondo dei social media, in maniera molto strutturata, oserei dire. Il mondo dei social appare alcune volte inabitabile, per l'eccesso di odio o comunque di intolleranza, eppure è un luogo indispensabile per trovare accessi e cercare il dialogo, anche tra periferie, fisiche e culturali, e centro. Come lo interpreta Christian Raimo?


È un discorso troppo complesso. È evidente la democratizzazione connessa ai social, eppure è altrettanto evidente la privatizzazione di questo mondo. Non ci sono i social, ci sono tre o quattro social proprietari che hanno delle regole sempre meno trasparenti e sempre più dannose verso i diritti fondamentali, dalla privacy al rispetto basilare delle regole, appunto, democratiche.


Tutti dicono che il mondo della scuola è in crisi, che gli insegnanti sono ormai irrilevanti, che i giovani si formano altrove, oltre la scuola. La scuola, del resto, non è ovviamente più il luogo della sola trasmissione di una tradizione culturale. Le risorse, infine, sono sempre meno. Cosa pensa l'insegnante Raimo dello stato della scuola oggi?


La scuola italiana, negli ultimi anni, è stata pesantemente de-finanziata, in termini assoluti e in termini percentuali, rispetto al totale della spesa pubblica, soprattutto sotto i ministeri Moratti e Gelmini: questi fondi non sono stati più recuperati. D'altra parte, non c'è stato un adeguamento degli stipendi degli insegnanti all'inflazione, c'è stata una perdita media di 300 euro al mese negli ultimi quindici anni. Questo è un problema reale che inevitabilmente incide sulla possibilità di avere delle scuole con spazi e luoghi adeguati e una formazione degli insegnanti all'altezza. La scuola è un organismo vivo:  se si nutre riesce a essere vivo di per sé, altrimenti sopravvive, con tutto ciò che ne consegue.


In questi giorni, è uscito il suo saggio "Contro l'identità italiana" edito da Einaudi. Un titolo sicuramente incisivo.


È un libro molto semplice. È evidente che ci sia il ritorno di un neo nazionalismo molto forte, con delle forme di nostalgia per delle pagine scurissime della nostra storia come quelle del fascismo, dell'imperialismo, del colonialismo. Questo libro indaga le ragioni di tale ritorno, ragioni che sono nel passato prossimo della storia italiana, gli anni Novanta e i primi anni Duemila, e ragioni culturali fondate nell'Ottocento, coloniali appunto e imperialiste. E c'è, naturalmente, un contesto di riferimento globale in cui l'identità sembra l'ultimo rifugio per chi si sente perduto tra la globalizzazione e le ansie verso il futuro.


Una lettura affascinante e importante. Ringraziamo Christian Raimo per la disponibilità e la cortesia. Speriamo di poterlo presto risentire.


Grazie.




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